Critica: Paolo Naldi, Strange human law, di Massimo Sgroi

Square

Ogni giorno milioni di persone percorrono strade che li portano da non luoghi ad altri non luoghi. Sono le vie delle grandi metropoli urbane, delle banlieu, degli agglomerati dove gli esseri umani corrono, come lemming impazziti, verso la catastrofe socio ecologica del terzo millennio. Sono gli abitanti che vivono le agonie dei non luoghi, di mostri delle grandi conurbazioni deprivate delle identità e delle storie; i mostri dove ogni frazione di città finisce per essere un mondo altro rispetto ad una storia ed una memoria. Le ansie etnocentriche delle concentrazioni forzate di etnie spesso distanti fra loro annullano ogni possibilità di creazione di un mondo che abbia un progetto e le distopie di questa esistenza creano soltanto una maligna evoluzione di disuguaglianze. E’ Blade Runner che prende forma, per lo meno nella sua mostruosa accezione socio-urbanistica. E l’agonia di Los Angeles diviene quella di Parigi, Londra, Berlino, Milano, Roma, Napoli ed il sogno di una società pacifica è tramontato, sostituito da una relazione in cui la violenza stessa è la nervatura del rapporto individuale e collettivo. A che serve ancora l’arte? Ha ancora senso ricercare una bellezza sempre più lontana dalla sua vera essenza filosofica e sempre più legata ad una vuota estetica di mercato? Le risposte attraversano, senza omogeneità, l’intero mondo della cultura e dell’arte. Per capirci: uno dei problemi più drammaticamente urgenti dell’intero territorio nazionale, le grandi organizzazioni mafiose, diventano, nell’immaginario collettivo, cinema da Oscar. E, questo, è un discorso pericoloso. Paolo Naldi parte da questa esperienza per rileggere la visione del contemporaneo e le dirompenti contraddizioni del terzo millennio; i cicli del suo lavoro si basano su di una pittura dura, senza mediazioni, e che mostra all’estremo la deriva conflittuale della storia della nuova forma dell’umano.

E l’agonia della città metropoli diventa oscuro paesaggio sulla superficie della tela; la sua pittura è una sedimentazione dei significati laddove il significante finale è sostanziato sulla parete dei ricordi. Ed in realtà, come sostiene Jean Louis Weissberg l’obiettivo comune dell’arte contemporanea e di molte discipline scientifiche è quello di scandagliare l’immagine per romperne lo statuto di dipendenza ontologica dall’oggetto. Va da se che l’informatizzazione del virtuale, nel momento in cui assume in se le funzioni della visualizzazione , riesce a sovrapporre i due estremi di questo paradigma: l’immagine e l’oggetto stesso. Nella nostra storia di uomini abbiamo sempre concepito lo specchio come la porta che separa la scena della vita dall’alterità. Oggi lo schermo del computer rappresenta il punto in cui queste due cose si incontrano, la superficie in cui il sé e  l’altro da sé sono compresenti rappresentando l’interazione e l’ibridazione di questi diversi livelli del reale. L’opera d’arte è coincidente, per lo meno nella sua accezione concettuale con questo tipo di visione; essa deriva dal nuovo modo che ha l’essere umano di relazionarsi con la nuova forma del reale. In ogni caso, è la sintesi formale dell’immagine che identifica l’appartenenza dell’opera; in The street behind the wall, ad esempio, Paolo Naldi opera lo sfrondamento fra i diversi livelli della realtà, sovrapponendoli l’uno sull’altro per divenire una dura alterità visibile da entrambi i lati: quello della realtà fisica e quello dell’immagine mediatica. Allo stesso modo la serie di Civil Rules, è una proiezione di un mondo privo di senso in cui l’eccesso corporeo finisce per svuotare di significato la ricerca di una libido ormai malata. O, ancora, la oscura presenza della morte in Medea Sindrome, dove la memoria della nostra essenza storica si perde in un perenne e violento scontro sociale. Sosteneva Woody Guthrie che l’artista è fra l’incudine ed il martello: prende dal popolo, filtra attraverso la sua sensibilità di artista ed al popolo restituisce. La domanda è: cosa possiamo ancora restituire oggi?

Massimo Sgroi

Paolo Naldi, Strange Human Law, personale a cura di Massimo Sgroi, PAN | Palazzo delle Arti, Napoli, 2014

Facebook
Facebook
INSTAGRAM
Twitter
LINKEDIN
Follow by Email